(Nižnij Novgorod 1868 - Mosca 1936) scrittore sovietico. Rimasto orfano di padre, fu allevato dai nonni. Ancora ragazzo, dovette guadagnarsi da vivere con i più svariati mestieri; imparò a scrivere dal cuoco di un vaporetto sul Volga, dove faceva lo sguattero. Fu nei porti, tra gli scaricatori, e vagabondando per la Russia del sud che maturò l’esperienza rispecchiata nei suoi primi libri. Con i racconti Makar Cudra (1892) e, soprattutto, Celkaš, pubblicato nel 1895 sulla rivista «Russkoe bogatstvo» (La ricchezza russa), ebbe inizio la sua fortuna letteraria. Nel 1898 la raccolta in due volumi Schizzi e racconti lo rivelò al grande pubblico. Il personaggio tipo è ancora di taglio romantico: il vagabondo, l’eroe che sfida il mondo delle convenzioni. Entrato in contatto con i marxisti, G. pubblicò, sulla loro rivista «Žizn» (La vita), Foma Gordeev (1899) e I tre (1901), ancora legati al mondo dei racconti precedenti, e il Canto della procellaria (1901), allegoria dell’approssimarsi della rivoluzione: per questo poema la rivista fu soppressa e G. arrestato e confinato in Crimea. L’arresto suscitò molte proteste in Russia: G. aveva già assunto un importante ruolo politico e culturale con la sua casa editrice Znanie, che aiutò e fece conoscere al paese i giovani scrittori realisti. Altre manifestazioni di solidarietà si ebbero quando l’autorità zarista annullò l’elezione di G. a membro dell’Accademia delle scienze (1902). Nello stesso periodo furono messi in scena dalla compagnia del Teatro d’arte di Stanislavskij due suoi drammi: Piccolo-borghesi (1901) e, subito dopo, Bassifondi (1902), che ebbe un enorme successo di pubblico. Bassifondi (conosciuto anche come L’albergo dei poveri) non è un dramma di intreccio, ma una sorta di galleria di ritratti di vagabondi giunti all’estrema libertà della desolazione. A questi due drammi ne seguirono altri, dedicati soprattutto all’atteggiamento degli intellettuali verso il popolo e la rivoluzione (I villeggianti, 1904; I figli del sole, 1905; I barbari, 1905). Nel 1905 G., a seguito di una protesta antizarista, fu di nuovo arrestato; l’indignazione dell’opinione pubblica indusse il governo ad amnistiarlo, ma G. fu ugualmente costretto a lasciare la Russia. Lontano dalla patria, a Capri, scrisse il romanzo La madre (1907), che segna il passaggio alla seconda fase della sua produzione. Nella storia di una vecchia che attraverso il figlio rivoluzionario emerge da una rassegnazione antica e capisce il valore della ribellione, G. indica un’alternativa alla vana ricerca di libertà dei suoi vagabondi.Tornato in Russia all’inizio della guerra, G. assunse precise responsabilità politiche. Dopo la rivoluzione svolse un importante ruolo di organizzatore culturale; di questi anni è il trittico di scritti autobiografici Infanzia (1913), Fra la gente (1915) e Le mie università (1917). Nel 1922 lasciò di nuovo la Russia e si stabilì a Sorrento; ma i legami con i problemi culturali e politici del suo paese rimasero sempre vivi. In quegli anni pubblicò L’affare degli Artamonov (1925) che attraverso la storia di tre generazioni di una famiglia russa traccia la parabola del capitalismo russo dall’abolizione della servitù della gleba alla rivoluzione. Nel 1928 G. rientrò in Russia e poi, dopo due altri soggiorni a Sorrento, nel maggio 1931 si stabilì definitivamente a Mosca. Assunse la direzione della rivista «I Nostri successi» e pubblicò nel 1935 il suo ultimo romanzo, La vita di Klim Sangin, iniziato nel 1925. L’atto che coronò l’azione politico-letteraria di G. fu il I Congresso degli scrittori sovietici (1934), in cui lesse la relazione introduttiva e in cui gli vennero tributati gli onori di maestro e fondatore della letteratura sovietica. La narrativa di G. (ostile a ogni sperimentalismo stilistico) appare tesa, in effetti, tra populismo e visione socialista del mondo; convergono in essa, in modo caratteristico, una descrizione impressionistica dei più miserabili aspetti della realtà sociale e una concitazione espressiva (e sentimentale) di ascendenza romantica.